Le parole arrivano da internet e dai social network

 

In Italia, la maggior parte dei ragazzi riceve il primo smartphone tra i dieci e gli undici anni, cioè in corrispondenza dell’ingresso alla scuola media: un’età in cui cominciano a sentire la voglia di essere più indipendenti e temono di essere esclusi dalle relazioni con amici e compagni di scuola, spesso basate proprio sulla rete e in particolare sui social network. Ed ecco che, nella mente di molti genitori, si affollano interrogativi più o meno allarmanti: quale sarà l’impatto del bombardamento di informazioni tipico del mondo virtuale? Quali conseguenze avrà l’uso di una comunicazione per lo più semplice – in gran parte basata su immagini – sulla capacità di concentrarsi e comprendere testi più elaborati? Riusciranno i ragazzi a sviluppare una sana abilità di interagire e relazionarsi con gli altri? E, soprattutto, come aiutarli a difendersi dalle molteplici insidie della rete, come l’esposizione a contenuti violenti o a parole inadeguate, i possibili problemi di dipendenza, l’eventualità di essere contattati da malintenzionati o il coinvolgimento in episodi di cyberbullismo?

 

Qualche dato su “hate speech” e cyberbullismo

 

Da un’interessante indagine di EU Kids Online, effettuata nel 2017-2018 in Italia su un campione rappresentativo di 1006 ragazzi e ragazze di 9-17 anni, emerge che il 13% degli intervistati ha fatto qualche esperienza su internet che li ha turbati o fatti sentire a disagio. In particolare, il 31% dei ragazzi di 11-17 anni ha dichiarato di aver letto messaggi d’odio o di offesa nei confronti di individui o gruppi attaccati per il colore della pelle, la religione o il gruppo etnico (il cosiddetto “hate speech”), mentre il 6% è stato vittima di cyberbullismo, cioè di quelle forme di prevaricazione volontaria e ripetuta realizzata per via telematica con lo scopo di ferire o denigrare. Pur non essendo il più frequente, quello del cyberbullismo è uno dei fenomeni che genera maggiore sofferenza in chi lo subisce, con conseguenze potenzialmente gravi a livello relazionale e psicologico.

 

Quando le parole si fanno violente

 

Fa riflettere il fatto che alcuni ragazzi che si sono resi responsabili di discorsi d’odio o di atti di cyberbullismo dicono di non essersi resi conto della gravità di ciò che stavano facendo, come se si trattasse di un gioco, di uno scherzo, e che tanti altri abbiano assistito a episodi di questo genere senza fare niente o, in alcuni casi, incitando il bullo. Colpisce la facilità di ricorrere a commenti e post violenti, l’uso della scrittura come strumento per aggredire, denigrare, minacciare, offendere – ahimé – non solo da parte dei giovani. Quasi che le parole non potessero ferire e che il fatto di essere nascosti dietro a un monitor, facilitando il senso di anonimato e impunità, impedisse di prendere coscienza delle conseguenze delle proprie azioni. Proprio per questo, per un genitore o un educatore, è fondamentale porsi l’interrogativo di come accompagnare i ragazzi in questo passaggio al mondo virtuale, aiutandoli a comprenderne i rischi, ma anche valorizzandone le potenzialità.

 

Progetti per sensibilizzare i ragazzi all’uso consapevole di internet

 

In Italia sono tanti i progetti nati allo scopo di sensibilizzare i giovani su questi temi. Molte iniziative hanno al centro la promozione dell’uso sano e consapevole della scrittura e del linguaggio, come le attività dell’associazione no-profit Parole Ostili, nata a Trieste nel 2016 con l’obiettivo di “diffondere l’attitudine positiva a scegliere le parole con cura e la consapevolezza che le parole sono importanti”. Ai ragazzi, inoltre, sono dedicati specifici percorsi di sensibilizzazione nelle scuole, per dare loro l’opportunità di riflettere sul peso delle parole e sull’importanza di non agire con superficialità tanto nella vita reale quanto in quella virtuale. Da questo punto di vista, mi sembrano molto apprezzabili realtà come il Movimento Etico Digitale, che interviene nelle scuole secondarie di tutta Italia per diffondere una corretta cultura digitale, che renda gli studenti consapevoli dei rischi della rete, senza allarmarli, e metta in luce al tempo stesso le opportunità che offre. Oppure il progetto Cuori Connessi che, attraverso la condivisione di storie e di esperienze reali, spesso raccontate dai diretti protagonisti, permette ai ragazzi di conoscere più da vicino il fenomeno del cyberbullismo, capirne i meccanismi e, in certi casi, trovare il coraggio per denunciare le vessazioni subite.

 

Le parole hanno un peso

 

Se pensiamo ai rischi della rete, è naturale, da genitori dei nativi digitali, sentirsi un po’ smarriti e preoccupati di fronte al sempre più precoce ingresso di internet nella vita dei ragazzini. Quando guardo mio figlio immerso nei suoi libri, nutro la speranza che questo amore per la lettura non sia passeggero, ma che lo accompagnerà sempre. Me lo immagino, più grande, restare con gli occhi incollati alle pagine del suo autore preferito, anche quando la maggior parte dei suoi coetanei dividerà il tempo tra videogiochi, TikTok e Instagram: uno scenario improbabile quanto anacronistico. In fondo, mi dico, il mondo digitale non va demonizzato, perché è anch’esso ricco di tesori. Quello che davvero mi auguro per lui è che impari a vivere nel suo tempo, un tempo in cui il virtuale ha sempre più spazio, con tutte le criticità e i vantaggi che ciò comporta. Spero che, in ogni circostanza, le storie che leggerà, i video che vedrà, le chat a cui prenderà parte susciteranno in lui domande, non certezze, e che userà la scrittura come strumento per informare, consolare, conquistare e ispirare, mai per tormentare o ferire. Sarà anche questo il mio ruolo, come madre ed educatrice: insegnargli a dare un peso alle parole e, perché no, anche ad apprezzare la bellezza del silenzio.

 

Foto di cherylt23 da Pixabay

 

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