Génie la matta
Ci sono libri e personaggi che ci restano addosso per giorni, anche una volta riposti sullo scaffale. Ci lavorano dentro, sbucano tra le pagine dei nuovi romanzi che leggiamo e ci sembra che lasciarli andare sarebbe far loro un torto. Génie la matta è uno di questi libri. Si fa fatica a chiuderlo davvero.
L’AUTRICE
Inès Cagnati nasce in Francia, a Monclar-d’Agenais, nel 1937 da una famiglia veneta di contadini. Professoressa, ha insegnato letteratura francese al liceo Carnot di Parigi. Con il suo lavoro d’esordio, Le jour de congé del 1973, vince il prix Roger Nimier. Génie la matta è il secondo dei suoi tre romanzi (1976) e le vale il prix des Deux Magots. Muore a Orsay nel 2007.
LA TRAMA
Il libro racconta la storia di Marie e del suo amore incondizionato per la mamma Eugénie, Génie la matta per tutta la comunità, che l’ha respinta ai margini e la sfrutta per i lavori più umili. Descrive la miseria dell’esistenza silenziosa della donna vittima di uno stupro e della sua bambina, dallo stupro generata e in quella miseria rimasta a vivere. Adelphi pubblica, insieme al romanzo, un’intervista all’autrice in cui emergono particolari, pochi ma chiave, della sua vita che ci aiutano a comprendere dove l’opera affondi le proprie radici.
DA NOTARE
L’autrice riesce a farci empatizzare con la bambina in modo assoluto: questo accade per la giusta scelta della voce narrante, affidata alla stessa Marie, la cui potenza è amplificata dall’uso di leitmotiv e di una scrittura essenziale, scevra di ogni retorica. Una scrittura in levare, che lascia tutto lo spazio alla storia, agli accadimenti così come ai silenzi. Ciò permette a noi lettori di sentire la paura di Marie, una sola e la più grande – quella di essere abbandonata – e di avvertire forte la sua ostinazione e poi rassegnazione. Viviamo il riverbero delle sue emozioni: laddove lei sceglie di non far niente perché non c’era niente da fare, noi lettori finiamo per non sperare più perché non c’è niente in cui sperare.
Presto infatti capiamo che se qualcosa può andar male, allora andrà male e il margine per la fiducia si assottiglia pagina dopo pagina, fino a perdersi del tutto.
INCIPIT
La chiamavano Génie la matta.
A volte attraversava il paese a passi svelti con al braccio il cestino di legno in cui metteva sempre il sacco di iuta che le serviva da cappuccio in caso di pioggia. Io le correvo dietro con tutta la forza delle mie gambette. Se spariva all’angolo di una strada o dietro una macchina o dietro il crocchio di donne che al mattino chiacchieravano facendo la spesa o che, sulla soglia di casa, raccoglievano l’acqua dei rigagnoli per innaffiare i fiori e lavare il loro tratto di marciapiede, mi prendeva la paura che ne approfittasse per lasciarmi là, da sola in quella strada piena di case sconosciute, di facce sconosciute.
Si ringrazia per la collaborazione a questa recensione Ilaria Cappelli.
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