Il pensiero vive costantemente nello stato di impermanenza. Oscillando come un pendolo genera emozioni contrastanti, un conflitto che troppo spesso induce a cercare termini per definire uno stato d’animo.
Le definizioni possono essere molte, tuttavia le stesse parole confinano il significato di quello che proviamo: malinconia, pietà, tristezza, compassione, stupore, meraviglia, gioia, struggimento. Ma non sempre incasellare un sentimento in una parola argina le numerose sfaccettature che le emozioni portano con sé. Il vocabolario non riesce a contenerle, le parole per come siamo abituati a usarle limitano, conducono alla dualità, altalenandosi tra positivo o negativo, bello o brutto, bene o male, giusto o sbagliato.
Vi è capitato di provare bellezza e tristezza nello stesso momento?
Le sfumature animano la qualità emotiva che percepiamo davanti alla materia, riflettono i sentimenti reagendo nell’intimo tra l’uomo e il mondo esterno.
La realtà è fatta di attimi; la percepiamo quando ascoltiamo il beccheggiare di una barca nelle onde lente del mare, quando osserviamo un gabbiano volteggiare nel cielo azzurro disegnando traiettorie improbabili, nell’attimo in cui una foglia si stacca dal ramo planando fino a toccare terra, nel sole che accarezza e scalda la pelle dopo un lungo inverno. In quei momenti il mondo sembra trattenere il respiro, dilata il tempo, la realtà si palesa per quello che è: un fermo immagine che ci scopre sensibili, veri; coinvolti nella natura delle cose, nel momento in cui ricongiunge noi con l’universo, senza bordature o divisioni, interi, pieni di amore.
Amiamo perché non siamo eterni, amiamo tutto ciò che è vulnerabile e frangibile. La fragilità delle cose e del tempo che passa inesorabile ci rende umani, migliori. Tutto è transitorio e fugace nell’esistenza.
Calarsi nella realtà, percepibile solo nell’attimo eterno che stiamo sperimentando, equivale al confondersi nello spazio temporale, nel qui e ora. Quando ci addentriamo in tale dimensione, accettando l’instabilità, frangenti in cui l’arrendevolezza alla vita apre una visione di struggente bellezza su chi siamo e quello che ci circonda.
Il fascino della scrittura sta nella capacità del non definire il sentire, il tentativo di dare una forma, un tratto di matita che rileggendoci riempiremo con i colori dell’esistenza, senza catalogare o etichettare le emozioni: semplicemente osserviamo il dilatarsi dei sentimenti, del tempo, cogliendo nella frazione dell’attimo il significato intrinseco della natura. È per questo che la letteratura scivola nelle metafore, chi scrive sa che una parola non può contenere in assoluto le sfumature del sentire.
Scrivere è un atto meditativo che ci aiuta sfruttare al meglio il tempo a disposizione, considerando che ogni essere o cosa manifesta la sua unicità, e in quanto viva, ha una sua inevitabile fine.
Accettare quello che sentiamo, liberandoci degli schemi, imparando a mettere su carta le nostre emozioni senza dover dare una codifica razionale, evita di intrappolarci con dei termini in quelle sfumature emotive che non limitano, ma se lasciate libere si espandono nell’abbraccio con noi stessi e l’intero creato. Nella penna che scorre su un foglio, i pensieri si acquietano, torniamo al centro: di nuovo vivi, perfetti nella nostra imperfezione.