Prima di parlare, bisognerebbe contare fino a dieci e capire. Prima di digitare e postare un commento sui social, bisognerebbe arrivare fino a venti e pensare. Prima di scattare una foto, sarebbe opportuno fermarsi e guardare con gli occhi, perché non si può definire “ricordo” qualcosa che hai visto attraverso uno schermo o un obiettivo.

È ormai fuori di dubbio che l’utilizzo dei mass media abbia come effetto una comunicazione frenetica, impulsiva, povera di una dovuta e attenta assennatezza, la cui mancanza la rende quasi fine a se stessa. L’insieme di post, commenti e reazioni che lasciamo su Facebook, su Twitter o su Instagram, si riduce in un vortice incessante e vizioso di botta e risposta, dove non ci sono pause di riflessione o concessioni alla pazienza e al possibile “cambio di idee”. Gli strumenti della comunicazione sono preponderanti, onnipresenti e il solo atto di usarli sembra condizionare i contenuti, che arrivano ai destinatari attraverso una serie di filtri come la scrittura breve, la fretta, la distanza, l’esposizione mediatica, il narcisismo, che spesso ne alterano il senso.

La persona si sta facendo obsoleta: quando appare, non è più lei con la sua vera individualità, ma lei con un’identità fittizia, costruita, pensata, non spontanea. L’individuo ora è ciò che mette in mostra, ciò che colleziona sui social, magari mentre faceva altro, forse al semaforo, forse in coda al supermercato, per riempire il tempo, perché non aveva di meglio da fare.

Ma è davvero questa una situazione apocalittica o ci cono aspetti che potrebbero essere sfruttati e trasformati? La condizione in cui viviamo non nasconde, anzi, evince in modo marcato, che siamo fruitori sempre più dipendenti dall’atto di scrivere perché desideriamo documentare noi stessi.

Siamo quello che scriviamo, siamo le foto che pubblichiamo, siamo le parole che seminiamo in giro, siamo quello che vogliamo essere. Pubblicare post, soprattutto scritti, è diventata una necessità, un bisogno.

Perché?

Perché le parole aiutano ad esprimerci, a rivelarci, e non solo a coloro che leggeranno le nostre pubblicazioni, ma anche a noi stessi. La scrittura è terapeutica, mette nero su bianco i pensieri che abbiamo in testa e ci aiuta a fare ordine e chiarezza con il nostro essere. Questa necessità la condividiamo ogni giorno e riconoscere ciò è prezioso perché in queste azioni comunichiamo il bisogno di interazione e di dialogo: forse abbiamo solo dimenticato il giusto modo di sfruttare questa scrittura, forse non lo abbiamo mai conosciuto.

Mi chiedo” dice in un’intervista Maria Lucia De Luca, direttore della rivista nazionale Buddismo & Società, “quando condivido un video dal titolo ‘Fantastico! Guardate come Tizio ha asfaltato Caio’, se asfaltare, per quanto in quel contesto sia usato ironicamente, non sia una parola violenta che incita all’odio. Rifletto se definire qualcuno “bravo” talvolta non risulti involontariamente discriminatorio nei confronti di qualcun altro, e se non rispecchi l’atteggiamento, profondamente radicato nella nostra cultura, dell’eterna contrapposizione tra bene e male. Quello spirito di astrazione in cui cadiamo quando giudichiamo dall’alto persone e situazioni in base a schemi, senza entrare in relazione con i protagonisti.”

Ciò che conta è entrare in relazione, sapere che dall’altra parte c’è qualcuno. È proprio quando si è privi di questa consapevolezza che, pur con le migliori intenzioni, il dialogo scade in un monologo, la comunicazione tra mittente e ricevente diventa arida e inutile, trasformandosi in un pericoloso ammasso di affermazioni unilaterali.

Ma la scrittura breve, quella che, dobbiamo renderci conto, usiamo ogni giorno per comunicare più o meno implicitamente la nostra essenza, quello strumento di cui abbiamo disperatamente bisogno, anziché condannata, dovrebbe essere sfruttata per valorizzarne il potenziale.

La scrittura immediata può essere un ottimo strumento per esprimersi e dichiararsi: non richiede troppo tempo, è accessibile, veloce e pratica, in ogni momento della giornata possiamo usarla per rivelare un pezzetto di noi. Bisogna solo tenere a mente il potere delle parole. Dire o scrivere qualsiasi cosa è una responsabilità perché è una scelta che comporta delle conseguenze. Prima di scrivere un post, o commentarne un altro, fermiamoci a pensare che ogni frase ha un peso e un effetto, può essere letta e interpretata in modo diverso da ciascuna persona, che ogni segno di punteggiatura può fare la differenza. Potrei informarmi meglio, leggere meglio e commentare meglio, usare la scrittura veloce come esercizio quotidiano perché nello sforzo di capire ed essere capiti si ritorna al concetto più profondo di umanità.

Dipende da ognuno di noi. Il mondo dei social è un mondo in cui la scrittura diviene intrattenimento, e intrattenere non vuol dire forse: “Trattenere una o più persone facendo o dicendo cose piacevoli, che interessino e dilettino”?

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