La Storia, quella con la “s” maiuscola, ha fatto parte dei miei studi fin dai tempi dell’Università.
La mia tesi di laurea in Lettere infatti ha previsto una ricerca presso l’Archivio storico di Novara, durata due anni, inerente documenti inediti relativi a una famiglia borghese locale, i Negri, analizzata nel periodo compreso tra la fine del ‘700 e l’inizio del ‘900.
Furono due anni di lacrime e gioie.
Lacrime, sì, perché trovarsi a maneggiare fogli consunti, scritti a mano da grafie diverse e non sempre comprensibili, con un inchiostro che il tempo ha fatto passare da una parte all’altra, sovrapponendo il testo del fronte con quello del retro, in un italiano ormai perduto e con abbreviazioni che hanno richiesto la costante consultazione di un catalogo apposito per essere decodificate, non è cosa che mi abbia reso serena, almeno all’inizio.
E gioie, perché aprire documenti mai consultati prima da altri, imparare a conoscerne mittenti e destinatari, familiarizzare con testamenti e inventari di eredità, contratti dotali di matrimonio, lettere personali di un fratello alla sorella in cui le si sconsigliava di sposare l’uomo da lei scelto e risposte dell’interessata che invece ribadiva la propria determinazione nel volerlo fare lo stesso (e siamo nel 1854!), mi ha infuso un entusiasmo e un interesse verso la ricerca che raramente ho provato poi ancora nella vita.
Le storie particolari dei personaggi di questa famiglia si sono inserite, come un piccolo tassello, nel quadro generale di un periodo contrassegnato da eventi come l’epopea napoleonica, la Restaurazione, il Risorgimento, le guerre d’Indipendenza e l’Unità d’Italia.
Non hanno determinato questi eventi, ma hanno contribuito a significarli, a renderne visibili gli effetti nei comportamenti e nelle scelte abituali di chi a quegli eventi reagiva vivendo.
Quando si ha a che fare con questo genere di informazioni, accade qualcosa di sorprendente: ci si immagina questo o quel personaggio, a cui abbiamo imparato a dare un volto – come facciamo con i protagonisti dei romanzi che più ci hanno appassionato – alle prese con i fatti della Storia, ma attraverso il filtro del quotidiano. Li vediamo a teatro nel palchetto che sono riusciti finalmente ad acquistare, seduti nella “Sala verde” della propria abitazione, che sappiamo ritrovare anche oggi nelle vie del centro città, perché i documenti ci hanno detto dove si trovasse esattamente e il palazzo è ancora lì, oppure mentre intervengono con fervore nel Consiglio comunale di cui fanno parte e parlano auspicando l’abolizione del calmiere del pane e delle carni che non ha più “ragione di esistere nelle condizioni attuali dei tempi” [1], secondo quanto riportato nei verbali delle sedute che ci hanno restituito gli Atti.
Ne cogliamo l’umore e il carattere, li paragoniamo a noi, siamo coinvolti emotivamente nelle loro vicende, la loro sorte ci riguarda.
Ed è proprio quel “sentirsi riguardare” che fa la differenza. Finché la Storia rimarrà una carrellata di fatti impersonali, incasellati in una sfilza di date e di definizioni da manuale, tanto schematiche quanto anonime, eserciterà ben poco fascino su chi cercherà di avvicinarsi, ma nel momento in cui assume il volto delle persone, cammina nelle loro scarpe per le vie della città, specialmente se quella città è la nostra, allora diventerà interessante, addirittura avvincente.
Sarà per questo che amo in modo particolare il genere del romanzo storico, proprio perché coniuga due mie grandi passioni la Storia e la Letteratura, trasforma la prima in narrazione, affida alla seconda il compito di documentare. I personaggi, anche quando sono inventati, diventano attori di una vicenda contestualizzata che va oltre gli eventi personali e ci restituisce uno spaccato sociale e culturale allargato, collettivo, storico nel vero senso della parola.
Penso alla potenza di figure come i personaggi manzoniani de I Promessi sposi che nel vivere il proprio destino ci raccontano anche quello della loro epoca o la forza emblematica del principe di Salina ne Il Gattopardo di Giuseppe Tomasi di Lampedusa, che mentre assume la consapevolezza di non essere più espressione del proprio tempo ce ne fornisce un’analisi perfetta.
La Storia che diventa racconto e viceversa, per ricordarci che nessuna storia personale è mai fine a se stessa.
[1] Cfr. Atti del consiglio comunale di Novara, vol. 13, intervento dell’avv. Giuseppe Negri durante la seduta del 23 agosto 1888.