Immaginate di essere a Praga, il 29 ottobre 1787, al Nostitz-Theatre per assistere alla prima del Don Giovanni di Mozart. Il pubblico è tanto numeroso quanto le aspettative sull’opera che andrà in scena. Mozart e il suo librettista Da Ponte sono reduci dal grande successo di Così fan tutte e Le Nozze di Figaro. Soprattutto quest’ultima era stata accolta con tale entusiasmo che gli impresari hanno chiesto un nuovo lavoro che mettesse in risalto Luigi Bassi, protagonista di Figaro.
Il pubblico conosce la storia di Don Giovanni. Prima di quella sera ci avevano già pensato Tirso de Molina, Molière e Goldoni, senza dimenticare la versione di Bertani e Gazzaniga presentata al San Moisè di Venezia a febbraio di quello stesso anno. Ma questo Don Giovanni sarà diverso, si eleverà dalla scala di derivazione popolare per assumere una connotazione tragico-simbolica. E soprattutto, avrà uno spettatore di eccezione: Giacomo Casanova.
In verità il fatto ha assunto una piega un po’ leggendaria, ma ci sono testimonianze che la cosa sia accaduta davvero. Non ultimo un foglio autografato da Casanova per Mozart con alcuni suoi suggerimenti per la modifica dell’aria di Leporello alla nona scena del secondo atto.
Ma continuiamo ad immaginarci la scena. Si apre il sipario e il ventiduenne baritono pesarese Luigi Bassi appare in scena osservato dal libertino più famoso d’Europa ormai sessantaduenne che assiste all’ultima fase della vita di Don Giovanni, il libertino più famoso mai inventato, con i testi scritti da Lorenzo Da Ponte, libertino e tombeur de femmes. Il successo non avrebbe potuto essere più assicurato.
Giacomo Casanova, nella sua intensa vita, è stato avventuriero, scrittore, poeta, alchimista, diplomatico, filosofo e agente segreto. Oltre ad amare il mondo femminile.
“Coltivare i piaceri dei sensi è stata per tutta la mia vita la mia principale occupazione, e non ne ho mai avuta altra più importante. Sentendomi nato per l’altro sesso, l’ho sempre amato e mi sono fatto amare il più possibile. Ho anche molto amato la buona tavola e insieme tutte le cose che eccitano la curiosità.”
Le sue imprese passavano di salotto in salotto, in tutta Europa, accrescendone l’alone di mistero e curiosità. Personaggio di piacevole compagnia, dalla cultura che spaziava in molti campi, attirava l’attenzione ad ogni evento a cui partecipasse. Il suo racconto più famoso resta la fuga dai Piombi, la prigione blindata del Palazzo Ducale di Venezia, avvenuta con lui che si calò da un abbaino del tetto. Con il passare degli anni trasformò quell’evento in una vera e propria perfomance orale della durata di quasi due ore. Probabilmente l’avranno ascoltata Madame de Pompadour, Benjamin Franklin, Caterina II di Prussia, come la lavandaia del palazzo di turno o la cameriera di un alberghetto qualsiasi. Si presume che i dettagli fossero stati, man mano, aggiunti con fantasia, ma di fondo si basava su un fatto vero e la gente era disposta ad ascoltarla.
Sarà stato anche per questo che in quello stesso anno, nel 1787, Casanova decise di mettere nero su bianco la propria vita. È risaputo che avesse una grande memoria e questo lo aiutò non poco a districare la matassa dell’esistenza. Come Leporello fa sapere a tutti che il suo padrone ha un libro su cui annotare le conquiste, così Casanova capisce che un vero avventuriero è tale solo se ha qualcosa da raccontare, un pubblico che lo ascolti e l’unico mezzo capace di regalargli l’immortalità non poteva che essere la scrittura.
“Degna o indegna, la mia vita è la mia materia, e la mia materia è la mia vita. Avendola vissuta senza mai credere che mi sarebbe venuta un giorno la voglia di raccontarla, può darsi che essa abbia un carattere interessante che non avrebbe avuto se l’avessi vissuta coll’intenzione di raccontarla nella vecchiaia, e ciò che più conta di pubblicarla.”
Senza la scrittura, noi ora sapremmo poco o nulla della sua vita e non useremmo il termine “casanova” come antonomastico per definire, secondo la Treccani, “un uomo dedito alle avventure amorose, gran conquistatore, seduttore privo di scrupoli”.
“Io so soltanto di essere esistito, e poiché lo so in quanto ho avuto delle sensazioni, mi rendo conto che quando avrò finito di averne non esisterò più.”
Scrisse l’autobiografia in francese perché “la lingua francese è più diffusa della mia” e venne pubblicata nel 1825, postuma. Nel 1834 fu messa al bando nell’Indice dei libri proibiti. Dal 1960 sono disponibili versioni non censurate e conformi al manoscritto originale.
Anche lo scrittore viennese Arthur Schnitzler la leggerà tra il 1914 e il 1915, trovando ispirazione per due novelle “Le sorelle ovvero Casanova a Spa” e “Il ritorno di Casanova” quest’ultima edita da Adelphi, nella quale si racconta l’avventura di un Casanova ormai anziano che sogna di tornare nella sua città e, nel frattempo, si ritrova ospite in una tenuta in cui conosce una donna molto giovane e colta. Perde la testa a tal punto da decidere di fingersi un altro per poter entrare, nottetempo, nella sua stanza e possederla. In tutte le sue riflessioni, ritroviamo un uomo che non accetta il passare del tempo e rivede la propria vita con occhi diversi.
Un altro che scrisse le sue memorie, Lorenzo da Ponte, disse di lui:
“Quantunque non amassi né i suoi principi né la sua condotta, nulladimeno amava e stimava moltissimo i consigli e i precetti suoi, che, a dir il vero, eran aurei, e di cui ho profittato poco, ma avrei potuto veracemente profittare moltissimo.”
Il più prezioso consiglio che usava dare era “non scrivete mai il vostro nome”. Lo sa bene Il Bugiardo di Goldoni, che finché si finge un altro, ha salva la vita e la reputazione. Come lo sa bene il Casanova di Schnitzler, che si sostituisce al buio ad un giovane amante per poter rivivere la passione di un tempo, ma non può sfuggire allo sguardo della verità.
E io me lo immagino Giacomo Casanova seduto in platea, che applaude il Don Giovanni inghiottito dalle fiamme dell’Inferno mentre si chiude il sipario, con un sorriso malizioso, convinto che un vero libertino debba stare sempre bene attento a non farsi scoprire, se non vuol decretare la fine della propria “carriera”.
Fonti:
Giacomo Casanova, Storia della mia vita, a cura di Piero Chiara e Federico Roncoroni, Milano, Mondadori, 1996.
Francesca Serra, Casanova e il romanzo vivente, in Atlante della letteratura italiana, a cura di Sergio Luzzatto e Gabriele Pedullà, vol. II: Dalla Controriforma alla Restaurazione, a cura di Erminia Irace, Torino, Einaudi, 2011, pp. 810-816.
Lorenzo da Ponte, Memorie – I libretti mozartiani, Garzanti, 2008