Per quanto mi riguarda i libri sono solo quelli cartacei. È vero, oggi la tecnologia ci permette di leggere anche in formato elettronico, ma parlare di lettura è una cosa, parlare di libri è un’altra.

Vivere con i libri. Un’elegia e dieci digressioni” di Alberto Manguel è una dichiarazione d’amore verso i libri cartacei, gli unici libri possibili. Scrittore, traduttore e bibliotecario, Alberto Manguel è prima di tutto un lettore. Qualcuno, forse a ragione, lo ha definito il lettore definitivo.

Sta di fatto che ha una biblioteca personale di 35000 volumi e questo libro racconta di quando ha dovuto lasciare una grande casa di campagna sulla Loira per trasferirsi in un piccolo appartamento di New York. Un passaggio che gli ha imposto una scelta difficile, in certi casi ai limiti del possibile, proprio in riferimento alla sua biblioteca sterminata. Quali libri portare con sé per metterli sugli scaffali della nuova biblioteca e quali inscatolare per lasciarli, temporaneamente o forse per sempre, in un deposito?

Un abbandono vero e proprio, preceduto da una scelta che un vero lettore appassionato dei libri come oggetti e delle storie che raccontano non vorrebbe mai dover fare. “Vivere con i libri. Un’elegia e dieci digressioni” è il racconto della scelta, di come Manguel è arrivato a costruire la sua nuova biblioteca, necessariamente più piccola.

Scegliere significa per forza escludere.

Scegliere in questo caso significa passare in rassegna ogni singolo libro, guardarlo, sfogliarlo, ricordarne il contenuto, ascoltare la sua voce, rivivere le emozioni che ci ha trasmesso. Un libro è molto più di un oggetto silenzioso, immobile, inattivo.

C’è chi pensa che sia il lettore a scegliere il libro; io penso che sia il libro a scegliere il lettore. Ogni romanzo, saggio, raccolta di racconti, di poesie, di lettere, ha una collocazione precisa nella nostra vita. Non qualsiasi libro può (e deve) essere letto in qualunque circostanza spazio temporale. Le storie che racconta, i personaggi che anima, i paesaggi che descrive servono per momenti ben situati ed è del tutto normale che un libro che, letto in un determinato momento della nostra vita, non ci è piaciuto o non lo abbiamo capito, una volta riletto, ci susciti sensazioni opposte e magari diventi il libro della nostra vita, quello che decidiamo di tenere nello zaino perché deve essere sempre con noi.

Alberto Manguel ci accompagna in un viaggio attraverso la sua biblioteca personale, un ambiente che vive di una dimensione diacronica e di una sincronica. La biblioteca e di conseguenza il lettore, non si forma dal nulla, tutta in una volta; è la testimonianza di un lavoro lungo quanto la vita. I libri arrivano sugli scaffali in tempi diversi, per motivi a volte razionali a volte sentimentali, altre volte apparentemente per caso. La biblioteca prima non c’è e poi c’è con tutta la sua fisicità. Leggere, rileggere, sfogliare, ammirare i libri significa viaggiare nel tempo della nostra vita, ma anche nel tempo delle vite dei protagonisti delle storie raccontate. Possiamo tornare alla nostra infanzia attraverso l’infanzia del protagonista di un libro per ragazzi; possiamo vivere la nostra contemporaneità attraverso quella di altri; possiamo immaginare il nostro futuro leggendo come lo hanno immaginato altri.
I libri si raccontano anche attraverso la loro fisicità. Le edizioni e le tipologie sono infinite e tutte uniche nella loro specificità. Nella libreria di Manguel trovano posto libri esteticamente belli e brutti, di grande valore o economici, libri d’epoca o contemporanei, da collezione o non. L’importanza, lo ribadisco, sta nel fatto che tutti i libri raccontano una storia, quella che si portano dietro che, a volte è addirittura più importante di quella che raccontano nelle loro pagine. Nel gioco della memoria non è di secondaria importanza ricordare quando e perché abbiamo comperato un determinato libro, quando e perché lo abbiamo letto per la prima volta, quali e quante sensazioni abbiamo provato nel momento in cui quel libro è diventato nostro e anche i contenuti sono diventati parte di noi.

Alberto Manguel dice, a ragione, che le biblioteche sono luoghi di memoria, sugli scaffali delle quali si succedono libri che sono in realtà spaccati di vita, di emozioni, di ricordi. I libri sono tutte le persone di cui raccontano la storia: quella che costituisce la trama del libro e quella delle persone che li possiedono; quella delle persone che ce li hanno consigliati, e di quelle con cui li abbiamo acquistati o che ce li hanno regalati. Ogni libro non è solo un oggetto, è un universo. Ogni libreria non è una raccolta di oggetti, è un universo di universi. Ogni lettore non è solo se stesso, ma è l’insieme di tutte le sue letture, l’insieme delle esperienze di tutti i personaggi che per una parte della sua esistenza sono stati suoi compagni di viaggio.

I libri che abbiamo letto e conservato, quelli che abbiamo accumulato, quelli che teniamo sempre con noi anche se non li abbiamo mai aperti: una biblioteca è capace di raccontare una vita a volte meglio di qualsiasi biografia.

Jorge Luis Borges, un genio, sosteneva che “uno scrittore scrive quello che può, un lettore legge quello che vuole”; una affermazione che mette in evidenza l’immensa responsabilità del lettore. Forse è questo il motivo per cui amo profondamente essere una lettrice. Questa frase non è l’espressione di un giudizio di valore, solo una lucida constatazione delle due diverse posizioni. Secondo Borges chi legge è molto più libero di chi scrive. Il lettore è libero di imparare, di immaginare, di sognare, di emozionarsi, ma è anche libero di non farlo. Chi legge è libero di scegliere se e quale libro leggere o no, quali parti gli piacciono di più, quali chiavi interpretative scegliere, quali mode di lettura assecondare o a quali opporsi.
Non posso non citare Flaubert che, nel giugno del 1857, scriveva a Mademoiselle de Chantepie: “Non leggete, come fanno i bambini, per divertirvi, o, come gli ambiziosi, per istruirvi. No, leggete per vivere.”

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