La donna che scriveva racconti
L’AUTRICE
Lucia Berlin nacque in Alaska nel 1936. Fin da bambina la sua vita si svolse all’insegna dei viaggi, al seguito di un padre che, lavorando nel settore minerario, era trasferito spesso. Vita nomade e altalenante passò dai fasti degli anni in Cile ai lavori di infermiera, centralinista e donna delle pulizie. Ebbe tre mariti e quattro figli, si laureò presso l’University of New Mexico, frequentò scrittori, poeti e musicisti jazz. Continuò a trasferirsi spesso, a crescere da sola i figli, lavorare e scrivere, a lottare contro una grave scoliosi che finirà con il forarle un polmone negli anni ’90. Diventò un’insegnante decisamente popolare e amata presso la University of Colorado e vinse il premio riservato ai migliori docenti dell’università. Combatté e sconfisse il cancro, ma morì nel 2004 a Marina del Rey, nell’area municipale di Los Angeles.
LA TRAMA
La donna che scriveva racconti è un’antologia di 43 short stories, riedizione italiana di A manual for Cleaning Women del 1977. Una serie di tanti piccoli quadri in cui la protagonista è la stessa narratrice onnisciente e tanti personaggi secondari, diversissimi tra loro: un vecchio indiano americano incontrato in una lavanderia, una ragazza giovanissima che scappa da una clinica messicana di aborti per ricche americane; la suora di una scuola cattolica; un insegnante gay, una domestica che ritrae le “signore” (e anche qualche “signore”) per cui lavora. Un puzzle di storie che tratteggia la vita, senza la pretesa di volerla interpretare a tutti i costi.
DA NOTARE
Nei racconti della Berlin non aspettarti di trovare una vicenda nel senso tradizionale del termine, perché a lei non interessa raccontare fatti, ma persone. I personaggi non sono gli attori di una storia, ma essi stessi storie. Sono più importanti delle situazioni nelle quali sono inseriti e “Chiunque dica di sapere benissimo come si sente un’altra persona è un cretino” come si legge ne “La lavanderia a gettoni di Angel”, racconto che apre la raccolta. La scrittura della Berlin fotografa la realtà attraverso le parole. Anche chi vive in ambienti e in contesti diversi da quelli raccontati riesce a sentirli come familiari, perché potrebbe capitare a chiunque di incontrare persone tanto diverse da sé per aspetto, provenienza, idee e cultura, solo che la Berlin le osserva e ne scrive, noi spesso distogliamo lo sguardo. Ecco, chi scrive invece non dovrebbe mai distogliere lo sguardo da ciò che lo circonda, specie se si tratta di persone. Un altro insegnamento che possiamo trarre dalla scrittura della Berlin è la sua capacità di trasformare l’ordinario in letteratura: non servono storie eccezionali per creare pagine indimenticabili, sono l’occhio che guarda il mondo e la mano che lo descrive a renderlo degno di essere raccontato. Nessuna storia è banale.
INCIPIT
Un vecchio indiano, alto, con un paio di Levi’s sbiaditi e una bella cintura zuni. I lunghi capelli bianchi legati all’altezza del collo con un filo di tessuto rosso lampone. La cosa strana era che da più di un anno ci capitava di trovarci da Angel sempre alla stessa ora. Ma gli orari non erano mai gli stessi. Cioè, io magari ci andavo il lunedì alle sette o il venerdì alle sei e mezza di sera e lui era già lì.
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