Inizia spesso con la visita della fabbrica il mio rapporto con un nuovo cliente. “Venga, Julita, le faccio vedere dove facciamo i nostri rubinetti”, mi dicono. Ed eccomi immerso in un’esperienza sensoriale scandita da suoni meccanici in ambienti pregni dell’odore di grasso. L’ho provata così tante volte che potrei dire: tutte uguali le fabbriche e tutti uguali i prodotti.

Ma sarebbe un errore.

Se presto attenzione, scopro ogni volta qualcosa di diverso da tutto quanto ho conosciuto prima, anche se non lo vedo subito, e prende forma quando sto ad ascoltare le parole dell’imprenditore di turno. È un’alchimia di cultura, sogni, episodi, esperienze e valori mai uguale. La personalità di ogni impresa è qualcosa di unico perché unica è la vita dell’essere umano che la conduce.

Ne ho conosciuti di imprenditori qui attorno al lago d’Orta. Quello dove vivo è stato per decenni un territorio dall’economia fiorente grazie all’industria. Poi sono arrivate la crisi e la concorrenza cinese: molte aziende hanno gettato la spugna, una buona parte sopravvivono con utili risicati. Ad altre – poche, in verità – la crisi ha invece creato spazi per emergere e allargare i propri orizzonti.

Nelle storie delle imprese che ce l’hanno fatta c’è un elemento comune da cui imparare: la capacità di fare buoni prodotti è accompagnata da quella di saperne valorizzare l’unicità. Il saper fare dell’imprenditore è analogo a quello dello scrittore il cui prodotto nasce dallo scrivere, e il farlo sapere dovrebbe essere per entrambi l’agire attraverso il marketing. Proprio come quegli imprenditori di successo anche lo scrittore dovrebbe pensare a valorizzare il proprio talento.

Uno scrittore dovrebbe perciò saperne di marketing? No, se non aspira ad avere lettori. Altrimenti è consigliabile. Come per un’impresa la cui qualità del prodotto non è garanzia di successo, a nulla serve saper fare un buon lavoro se nessuno lo sa.

Il marketing dello scrittore oggi coincide con l’uso dei social media, l’amministrazione di un blog e di una mailing list. Si tratta di attività che richiedono metodo, a volte qualche minimo investimento economico e soprattutto il tempo necessario per creare e gestire un dialogo costante.

Il web offre l’opportunità di dare visibilità, trovare un pubblico, stabilire rapporti, vendere libri. Non solo. Internet è la fonte a cui anche gli editori attingono per farsi un’idea di quanta sostanza e interesse ci sia attorno ad un autore: un discreto seguito è rassicurante per chi dovrebbe investire su chi scrive.

Alcuni autori, così come tanti imprenditori, si fanno aiutare da consulenti come me per imbastire la strategia ed averne una supervisione. Altri arrivano ad affidare la propria voce ad altri autori – i ghostwriter dei social media – quando il ritorno dall’investimento è ritenuto opportuno, scontrandosi però con la difficoltà di trasmettere all’incaricato tutto ciò che è necessario per comunicare in modo autentico e profondo.

Io vedo nell’agire in prima persona un’occasione – lo chiamo “effetto collaterale” – che matura dalla pratica del narrarsi online. Raccontare costringe ad unire i punti, a colmare i vuoti, creare relazioni tra concetti, usare esempi per farsi capire, rafforzare il proprio sapere. Ne deriva una più forte consapevolezza di quanta sia la strada fatta e quale sia il proprio posto tra le storie della vita. È una sensazione gratificante per chi ama scrivere e che conosce benissimo chi pratica la scrittura autobiografica. Da sola, credimi, vale il prezzo dell’impegno necessario.

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