Requiem
Il significato di ciò che si scrive passa anche attraverso il linguaggio che si sceglie di usare per esprimerlo e a volte forma e contenuto sono così connessi fra loro da presupporsi a vicenda. Il libro che ti presento oggi ne è un esempio. Si intitola Requiem e l’autore è l’italianissimo Antonio Tabucchi che però l’ha scritto in portoghese, perché, come spiega lui stesso nella Nota introduttiva al testo, questa storia avrebbe potuto essere scritta solo in portoghese.
Una curiosità: anche per la sua versione italiana Tabucchi ha scelto di farsi tradurre da un’altra persona, Sergio Vecchio per la precisione, che nel chiudere il romanzo con una propria nota personale si pone la domanda che è anche del lettore: come mai l’autore non ha tradotto se stesso? Conoscendolo bene Sergio Vecchio intuisce quale possa essere la risposta: in quanto, dice, se lo avesse fatto, questa storia sarebbe diventata un’altra storia, perché uno scrittore è anche e soprattutto la sua lingua.
L’AUTORE
Antonio Tabucchi è nato a Pisa nel 1943 ed è morto a Lisbona nel 2012. È considerato uno dei più grandi scrittori del Novecento europeo. Autore di romanzi, racconti e testi teatrali tradotti in tutto il mondo, ha vinto prestigiosi premi letterari. Ha svolto anche l’attività di saggista e traduttore e ha insegnato Lingua e letteratura portoghese all’università di Genova e Siena. Ha amato profondamente il Portogallo e la poesia di Fernando Pessoa, tanto da esserne considerato, a oggi, il maggiore conoscitore, critico e traduttore.
LA TRAMA
In una torrida domenica di luglio un uomo, di cui non viene rivelato il nome ma che incarna l’autore del romanzo, si ritrova, senza sapere come né perché, su un molo di Lisbona con la consapevolezza di dover vedere alcune persone, vivere una serie di esperienze e alla fine incontrare il Convitato, colui che lo ha convocato all’appuntamento. Nell’arco di dodici ore – tale è la durata temporale in cui si svolge il romanzo – il protagonista compirà un percorso tra sogno e realtà, in cui rivivrà alcune tappe fondamentali della propria esistenza, attraverso il ricordo di ambienti e persone. Dialogando con il proprio passato Tabucchi trova così il modo di spiegarlo a se stesso e di dare vita ad un libro che del romanzo ha solo l’impianto, ma che in realtà è un memoriale.
DA NOTARE
Requiem è un romanzo breve costituito da un susseguirsi di scene giustapposte: difficile dire se esista una vera sequenza, una trama nel senso letterale del termine. Passano tra le pagine gli incontri e i dialoghi del protagonista/autore con i suoi personaggi, quasi tutti senza nome, ma identificati nella “funzione” che svolgono (il Tassista, il Controllore del treno, il Copista, il Venditore di storie, il Barman del Museo di Arte Antica, per fare qualche esempio).
I Dialoghi sono vividi, ritmati e autentici, seppure costruiti in modo anticonvenzionale: nessun segno d’interpunzione, nessun a capo che scandisca le battute. È sorprendente constatare come il verbo “disse/dissi” sia ripetuto in continuazione senza però costituire un disturbo. Chi legge è così coinvolto dall’incedere dei discorsi dall’avere la sensazione di partecipare alla conversazione in qualità di testimone diretto.
Un’attenzione speciale merita l’incipit del romanzo: in poche righe l’autore trova il sistema di rivelarci una serie di dettagli fondamentali per inquadrare ambiente e situazione della storia, ma nello stesso tempo solletica la nostra curiosità con particolari capaci di generare aspettativa e sorpresa. Deve arrivare qualcuno (Pensai: quel tizio non arriva più), ma subito si precisa che il “tizio” in realtà è il più grande poeta del ventesimo secolo – Pessoa, nell’idea dell’autore, anche se non sarà mai nominato in maniera esplicita nel romanzo – e che è morto ormai da tanti anni. Il protagonista è su di un molo ed è mezzogiorno e mentre si scioglie sotto il sole di fine luglio (connotazione temporale) gli sorge il dubbio di aver equivocato l’orario dell’appuntamento: forse le dodici, ora in cui lui aveva deciso di incontrarlo, erano da intendersi come le dodici di notte, perché i fantasmi appaiono a mezzanotte.
Con un esordio del genere, a pagina 1 Tabucchi ci tiene già in pugno.
INCIPIT
Pensai: quel tizio non arriva più. E poi pensai: mica posso chiamarlo “tizio”, è un grande poeta, forse il più grande poeta del ventesimo secolo, è morto ormai da tanti anni, devo trattarlo con rispetto, meglio, con tutto il rispetto. Ma intanto cominciavo a sentire fastidio, il sole dardeggiava, il sole di fine luglio, e pensai ancora: sono in ferie, stavo tanto bene là ad Azeitão, nella casa di campagna dei miei amici, chi me l’ha fatto fare di accettare questo incontro qui sul molo? E adocchiai ai miei piedi la mia ombra, e anche lei mi parve assurda e incongrua, non aveva senso, era un’ombra corta, appiattita dal sole di mezzogiorno, e fu allora che ricordai: lui aveva fissato per le dodici, ma forse aveva voluto dire le dodici di notte, visto che i fantasmi appaiono a mezzanotte. Mi alzai e percorsi il molo.
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