Scrittura e sport: quale rapporto? Che cos’ha a che fare la lezione di Pierre de Frédy, barone di Coubertin, ideatore dei giochi olimpici moderni, con il mestiere di scrivere?
Scrittura e sport al Museo Olimpico dello sport di Losanna
Nello scorso gennaio ho avuto occasione di visitare la città di Losanna e in particolare il suo Museo Olimpico dello sport.
L’idea di scrivere un articolo sull’argomento l’ho maturata subito. Dovevo fermare sulla carta le emozioni che stavo provando. Così annotai sull’agenda alcuni pensieri a caldo, convinta di rielaborarli in seguito, non appena ne avessi avuto tempo.
Gennaio si concluse in fretta e febbraio scappò via frenetico. Poi il covid-19. E tutto è cambiato, tutto si è interrotto. Non era più il momento giusto di scrivere questo articolo. Tre mesi di vita in casa e di distanziamento sociale hanno messo le persone davanti a una situazione nuova, le hanno costrette a fare i conti con se stesse, con le proprie abitudini e priorità. Io ho letto quello che stava succedendo come un monito a rallentare il passo e a scalare le marce. Ho davvero avvertito un forte richiamo al cambiamento di vita, di scelte, di atteggiamento e ho sperato che, trovandomi coinvolta in un evento epocale di portata mondiale, questa mia sensazione potesse essere condivisa, diventare comune, essere messa in pratica e sortire un risultato tangibile.
In realtà, dopo la fiducia iniziale, mi è sembrato che le cose stessero prendendo una piega diversa e che invece di cambiare abitudini si cercasse, e si cerchi tuttora, di tornare il più in fretta possibile a quelle di prima. Di fronte a questa eventualità è subentrata una sensazione latente di sconforto.
Ma qualche giorno fa mi sono capitati tra le mani gli appunti presi al Museo olimpico e le tre parole chiave che mi ero annotata: memoria, determinazione, etica dello sport.
La rotta delle parole
Sono tornata ad avvertire le esatte sensazioni che me le avevano ispirate. Di più: mi sono ritrovata con l’immaginazione ancora “dentro” il museo, pervasa dalla smania di vedere, leggere, toccare tutto.
Ricordo bene quale fosse il filo conduttore su cui desideravo tessere il mio racconto, ma mi rendo conto che adesso la trama è un’altra, la direzione è cambiata. Quello che è successo nel frattempo impone una nuova chiave di lettura.
Preferisco lasciarmi guidare dalla nuova rotta delle parole.
Memoria: un debito nei confronti dei maestri
Di tutta l’esposizione museale ultramoderna, interattiva e di grande impatto che ho avuto modo di visitare a Losanna, la parte che mi ha regalato i migliori spunti di riflessione è stata quella iniziale, dedicata a Pierre De Coubertin (1863-1937), ideatore e fondatore dei recenti giochi olimpici.
Il museo ripercorre la sua vita, attraverso testimonianze scritte e fotografiche, ricostruzioni di ambienti e fatti storici. Il debito che De Coubertin ha riconosciuto a ciascuno dei propri maestri emerge costante dai suoi scritti, come quando ricorda quanto abbia inciso su di lui la frase dell’amico ingegnere Frédéric Le Play :
“N’attendez rien de l’État, ayez confiance en l’esprit d’initiative de certains pour le bénéfice du plus grand nombre”.
(Non aspettatevi niente dallo Stato, confidate nello spirito d’iniziativa di alcuni per il bene dei più).
La memoria delle radici, la riscoperta dei valori fondativi della civiltà umana, come quelli che hanno indotto gli antichi greci a dare vita alle loro sacre competizioni sportive intorno all’VIII sec. a.C., unite agli insegnamenti acquisiti dalle esperienze e le persone incontrate in vita, hanno creato le condizioni perché il De Coubertin elaborasse un pensiero suo e lo trasformasse in progetto.
Se avessi scritto l’articolo quattro mesi fa, avrei insistito molto sul ruolo della memoria, l’avrei posta a fondamento di tutto quanto il discorso. Oggi invece penso che la lezione più interessante che si possa trarre da De Coubertin sia un’altra.
La determinazione di chi non aspetta che le cose cambino
De Coubertin crede nello sport, inteso non solo come pratica utile per il corpo, ma come atto rigenerativo ed educativo per la persona umana nella sua totalità. Ritiene che attraverso l’attività sportiva possa innescarsi un cambiamento nell’individuo e, per contagio, nella società tutta.
Forte di questa convinzione si adopera per realizzare il proprio progetto: il ripristino dei giochi olimpici.
Auspica un rinnovamento globale, desidera una società diversa, un mondo in grado di vivere in pace – la brutta esperienza della sconfitta francese nel conflitto franco prussiano del 1870-71 era ancora nell’aria – e ritiene che una competizione sportiva sana, regolamentata e corretta possa essere la via per ottenere l’obiettivo.
Ma non è forse quello che dopo l’esperienza pandemica di questi mesi ci auguriamo un po’ tutti? E se davvero il segreto fosse quello di non aspettare che le cose cambino, ma di confidare “nello spirito d’iniziativa di alcuni per il bene dei più”?
Etica dello sport: presupposto imprescindibile
Il genere di sport a cui il De Coubertin riconosce la capacità di rivoluzionare il mondo però è soltanto quello connotato da solidi principi morali. È uno sport etico, che non si limita a celebrare il risultato, ma prende in considerazione anche il modo in cui è stato raggiunto, che si inchina davanti al vincitore, purché si sia dimostrato rispettoso delle regole e soprattutto degli avversari.
Non è lo sport dei più forti, ma dei più meritevoli, che non sempre coincidono. Quante volte nella proclamazione di una classifica abbiamo sentito dire che, a dispetto dell’ordine d’arrivo, il vincitore morale della competizione si è rivelato essere in realtà un altro.
Etica della scrittura: il Fair Play vale anche per la scrittura
Scrittura e sport, dicevamo. E mentre ragiono sulla visione che ha animato la vita del De Coubertin regalando a noi, suoi posteri, i giochi olimpici moderni, penso a quante analogie esistano tra sport e scrittura. Si tratta di due gesti diversi, è vero, ma che possiedono un potenziale evolutivo straordinario a patto che li si compia nel rispetto dell’altro: l’avversario, nel caso dello sport, l’interlocutore, per quanto riguarda la scrittura.
Esiste un’espressione nel linguaggio sportivo che riassume bene questo principio ed è fair play.
Ce n’è bisogno anche quando scriviamo, soprattutto oggi, in cui i social ci offrono la possibilità di commentare, esprimerci, interagire in tempo reale con gli altri e con le loro idee. Il tono delle parole cambia il senso di quello che si scrive, fa prendere loro direzioni diverse e può diventare leva per smuovere le coscienze o miccia per fomentare l’odio.
Condividere il pensiero, far circolare sensazioni, raccontare e raccontarsi è la maniera più efficace per trasformare l’idea di cambiamento in realtà. Ci consente di accorgerci che spesso il nostro sentire appartiene anche agli altri e che l’azione dei singoli può confluire nell’attività di molti.
A me è successo e nel momento in cui ho smesso di pensare che niente potesse cambiare ho scoperto che esistono già tanti visionari alla De Coubertin che credono negli stessi valori in cui credo io.
Accademia di scrittura e il Writing Way Lab si sono fatti promotori di un progetto chiamato Scrittura etica, con un proprio manifesto e un programma di azioni concrete, mirate a diffondere il messaggio di una comunicazione gentile e rispettosa degli altri. Firmare il manifesto (lo si può leggere e sottoscrivere qui) significa mettere insieme le forze per incidere sul reale e provare a dare peso alla forza delle idee buone.
Forse questa nuova rotta che mi hanno suggerito le parole è davvero quella giusta.