Antoine Joseph Adolphe Sax era un uomo a cui non poteva mancare la tenacia se riuscì in ciò di cui fu capace: tener testa all’ostilità dei fabbricanti di strumenti musicali che, nella Francia del 1800, monopolizzavano il mercato. In vita sua, l’inventore del sassofono subì minacce, aggressioni fisiche, denunce, incendi dolosi e subdole manovre politiche. Ma niente gli impedì di regalare al mondo quel suono inconfondibile che avrebbe cambiato la musica. Il jazz non sarebbe stato lo stesso senza quelle note tanto scure e profonde da toccare l’anima.
La storia del sassofono presenta similitudini con quella di altre tecnologie che, arrivate sul mercato, hanno aperto spazi nuovi alla creatività. La computer grafica, ad esempio, o la fotografia, con le fotocamere compatte a 35 mm della Leica, le prime con cui scattare a mano libera.
Succede oggi qualcosa di simile con la scrittura dopo l’arrivo dei social media. Anzi con la coincidenza di tre fattori, nel primo decennio degli anni duemila: la disponibilità di reti internet in mobilità, strumenti per connettersi alla rete e creare contenuti in ogni istante (gli smartphone) e piattaforme digitali, i social media appunto, per condividere quei contenuti.
Con i social la scrittura si confronta con dinamiche mai viste prima.
Nessun altro supporto di parole scritte aveva offerto i riscontri immediati della lettura. Mi riferisco ai like, i commenti, le condivisioni con cui il destinatario della comunicazione oggi interagisce. Mai autore e lettore si erano confrontati attorno ad un testo già negli istanti successivi alla pubblicazione.
Quella di cui siamo oggi testimoni è un’esperienza di scrittura aumentata che suggerisce accortezze e nuove strategie a chi crea contenuti. Serve particolare cura nella scelta delle parole se vuoi attrarre attenzione e mantenerla in un luogo di lettura – la newsfeed dei social – ricco di tanti elementi di distrazione.
Ma non basta. Siamo in uno spazio dove un algoritmo stabilisce le regole e chi scrive non può sapere a chi, in quale sequenza e insieme a quali altri contenuti, verranno mostrati i propri.
Come si cavalca l’imprevedibilità dell’algoritmo? Pensando contenuti legati tra loro che sappiano vivere ognuno di vita autonoma. Quando descrivo la forma più appropriata per una scrittura coerente e continuativa attraverso i social, sono solito portare esempi di narrazione d’impresa – materia legata al marketing – e spiego come si sia evoluta attorno ai social media. Uso un paragone con la struttura su cui si reggono le soap opera, un format televisivo la cui caratteristica è di essere un serial aperto, in cui cioè non è prevista una fine: le soap opera possono infatti svilupparsi per anni e centinaia di episodi in intrecci complicatissimi.
Lo storytelling aziendale ha uno sviluppo narrativo simile che scorre su due livelli.
Il primo livello è la macrostoria ed è costituita da elementi ricorrenti in ogni post. Sono i personaggi, gli ambienti, le situazioni (reali, nel caso dello storie d’impresa). E sono ancora quei valori che – sussurrati, accennati, richiamati dal contesto e dalle azioni – si vuole che entrino in mente a chi segue.
Il secondo sono le microstorie: in TV sono i singoli episodi, sui social sono i singoli post del calendario editoriale. Tutte assieme suggeriscono la struttura più ampia della macrostoria.
L’uso strategico delle storie si differenzia per la narrazione transmediale e fluida.
Transmediale perché molteplici sono i canali attraverso cui si diffondono e le forme in cui le singole storie vengono elaborate (testi, foto, filmati). Lo scopo non è incollare il destinatario ad un solo mezzo (nel caso delle soap è la televisione), ma raggiungerlo e stabilire una relazione indipendente dal mezzo.
Fluida perché lo scorrimento delle storie non segue una sequenza progressiva: il destinatario dovrebbe incontrare adesso un contenuto pubblicato un minuto fa e domani uno di sei mesi prima, senza che abbia una sensazione alterata del flusso narrativo.
Quello che ti ho descritto è il modo in cui nel mio lavoro penso e organizzo lo storytelling per le aziende. Io e i miei colleghi di Plume attingiamo da quel mondo di storie che stanno chiuse nei cassetti della memoria, episodi di quotidiana normalità per chi vive l’impresa da dentro; raccontano di idee soppesate, progetti imbastiti, problemi risolti ai clienti. Nulla di straordinario fino a quando, organizzate in un progetto narrativo, esprimono il loro potenziale strategico, seguendo logiche che prima dei social media ancora non esistevano. Come pionieri, in territori che non c’erano.