Dalla scalinata di Trinità dei Monti guardavo Roma. Il cielo plumbeo schiacciava la città. All’orizzonte una linea netta di azzurro, dritta, come tracciata da un righello; nel mezzo, una palla incandescente illuminava di rosso i tetti della capitale, sembravano dover prendere fuoco da un momento all’altro.
Ci sono attimi in cui cedo all’incanto, consapevolezze si manifestano dal nulla. Pensai alla dicotomia dei pensieri, alle numerose identità che albergano nell’essere umano, le ombre e le luci, le continue lotte tra ciò che vorremmo essere e quello che siamo. A volte i conflitti emergono quando è in atto un cambiamento, decisioni che stentiamo a prendere per vergogna, per paura di deludere.
Siamo più comprensivi con gli altri che con noi stessi; se un amico dicesse di noi tutto quello che ci raccontiamo, non resteremmo in sua compagnia più di dieci minuti, eppure è quello che succede spesso. Non abbiamo clemenza nei confronti della nostra vulnerabilità, della fragilità, di quella sensazione, considerata debolezza, a cui non vogliamo cedere.
Capita di fallire sul lavoro, di non riuscire a dare quell’esame, che la relazione che stiamo vivendo sia giunta a un punto morto, sappiamo che dovremmo chiuderla ma non abbiamo il coraggio. Invece di agire tendiamo a nascondere a noi e agli altri le emozioni che ci schiacciano, rinviando decisioni, sopraffatti dal senso colpa, convinti di essere sbagliati, non all’altezza.
Sentiamo il cambiamento, ma c’è un blocco che ci impedisce di progredire, usiamo cattive parole, svalutiamo il nostro essere togliendo energia a quelle forze invisibili che sono dentro ognuno di noi.
Dialoghiamo con noi stessi come fossimo il nostro peggior nemico, l’“io” giudicante ci tiene in ostaggio, lo fa subdolamente, riportandoci a vecchie memorie inconsce che non sappiamo neanche di avere dentro.
Tirai fuori dallo zaino il quaderno che porto sempre con me. Scrissi su un foglio tutto quello che non funzionava nella mia vita: le decisioni che non stavo prendendo, le paure, la vergogna che – temevo – avrei avvertito se avessi compiuto determinate scelte. Nella pagina accanto risposi alle domande come se a parlarmi fosse stato il mio migliore amico: analizzavo le parole, le sceglievo con cura, ero lontanissimo dal giudizio.
Quello davanti a me era un uomo con tutto il carico di umanità a cui non avevo donato sufficiente amore. Ascoltai le emozioni in un nuovo movimento, avevo creato una nuova traccia, un passaggio attraverso le ombre.
“Che cos’è il sigillo della raggiunta libertà? Non provare più vergogna davanti a sé stessi.” (Friedrich Nietzsche)
Mentre scendevo verso Piazza di Spagna alzai gli occhi, le nuvole di piombo non schiacciavano più la città, le stelle prendevano il loro posto nel blu infinito dell’universo.
Foto di David Mark da Pixabay