Ho sempre pensato che lo scrittore sia l’unione di arte e artigianato e credo non ci sia esperienza più affascinante di entrare nel suo laboratorio, nel luogo cioè in cui la scrittura prende forma. Una vita in parole. Dialogo con I. B. Siegumfeldt di Paul Auster è un libro che permette di compiere questa esplorazione nella sua vita e nella sua scrittura. È un libro-intervista e nasce dall’idea di I. B. Siegumfeldt, che dialoga con Paul Auster costruendo “un grandioso viaggio di due anni fra i suoi ventuno testi narrativi, uno dietro l’altro, a partire da un’ampia varietà di prospettive”.

Questo viaggio si divide in due tappe fondamentali: la prima dedicata ai cinque scritti autobiografici, la seconda ai sedici romanzi, in cui Auster parla dei propri personaggi. Il filo rosso di questa lunga intervista è subito chiaro: mettere in evidenza qual è il senso della scrittura per Auster, uno degli scrittori americani più letti e forse anche più apprezzati. Una vita in parole tocca tutti i temi importanti della poetica di Auster, a partire da cosa significa scrivere:

… per scrivere bisogna dare tutto quello che abbiamo. È uno sforzo totale, e bisogna esporsi completamente, bisogna dare in continuazione. E sforzarsi al massimo ogni giorno. Credo che pochissimi lavori al mondo chiedano così tanto. Le altre professioni possono essere svolte anche in automatico. Possiamo basarci sulle abitudini, essere pigri, avere dei giorni in cui non occorre sforzarsi al massimo, che uno sia un avvocato, un medico, uno spazzino o un idraulico. Così, quando mi alzo dalla scrivania alla fine della giornata di lavoro, anche se non ho concluso niente, anche se ho cancellato ogni riga che ho scritto, posso almeno dire: «Ho dato il massimo. Sono sfinito e ho fatto del mio meglio».”

Mi sembra una affermazione non solo condivisibile, ma fondamentale per rendersi conto che la scrittura è totalizzante, è un’attività che non si improvvisa, che non può essere relegata nei ritagli di tempo, che non può essere lasciata al caso. Scrivere non è facile, perché significa mettersi in gioco, essere disposti a vestire i panni degli altri pur mantenendo una propria personalità chiara e definita. Non si può scrivere senza “essere completamente coinvolti. Non si può fare senza entusiasmo”. Occorre la capacità di stupirsi di fatti semplici, la voglia di “trovare la propria umanità e il proprio legame con gli altri esseri umani”.

C’è un aspetto curioso dell’Auster scrittore che sta tutto in questa affermazione: “Nessuno può dire cosa dà origine a un libro, tantomeno la persona che lo scrive.” Per scrivere un romanzo non è necessario avere chiara fin dall’inizio l’intera struttura dell’opera, risolvere in anticipo tutti gli aspetti compositivi e narrativi. La cosa davvero fondamentale è “trovare il modo giusto per raccontare una determinata storia.

Questo è ciò che conta davvero per Paul Auster, uno sforzo che porta con sé un altro tema imprescindibile per comprendere il mestiere dello scrittore, ovvero l’importanza del linguaggio e della parola scritta e non.
Mi interessano le cose che si scontrano con i limiti del linguaggio. (…) L’occhio vede il mondo nel suo fluire. La parola è un tentativo di arrestarne il flusso, di stabilizzarlo. E tuttavia insistiamo a cercare di tradurre l’esperienza in linguaggio.

Auster lavora con cura sulla scelta delle parole, nella consapevolezza del loro limite e della loro importanza. C’è una distanza incolmabile tra la fluidità dell’accadere e la fissità del descrivere. Di fronte a un testo scritto è il lettore che deve immaginare il movimento e questo è tanto più fattibile quanto più sono precise le parole utilizzate per raccontare. Parte della complessità dello scrivere sta proprio nella quasi impossibilità di esprimere con parole esatte i propri pensieri e le proprie sensazioni, nella consapevolezza che “Quando la posta in gioco è bassa, niente è importante. Quando è alta, è importante tutto quanto. Ed è molto probabile che si cadrà nell’abisso.”
Le parole sono anche il punto di contatto tra chi scrive e chi legge; sono l’unico strumento attraverso il quale il lettore entra in comunicazione (empatica) con lo scrittore.
Direi perfino che il lettore reagisce fisicamente a ciò che compare sulla pagina: sente le parole nella sua testa, si riproducono dei significati, si formano delle immagini. Sono generate dalle parole che entrano nella sua testa. Poi, comincia ad accadergli qualcosa.

Per Auster il ruolo del lettore è elemento fondamentale per l’esistenza del libro e addirittura dello scrittore. La lettura è un’esperienza fisica, mentale ed emotiva, è un momento determinante in cui chi legge deve essere lasciato, almeno in parte, libero di fare la propria esperienza. Il linguaggio, le parole sono elementi che guidano, ma c’è un aspetto ancora più importante: la pagina non deve essere claustrofobica. “In altre parole, non bisogna dire tutto. Il lettore deve aver lo spazio per riempire i vuoti. È più stimolante. In questo modo il libro diventa una collaborazione tra scrittore e lettore e, in un certo senso, ogni libro è un libro diverso a seconda di chi lo legge.”
Questo è il terzo aspetto che mi ha colpito: così come la musica è anche nelle pause, la scrittura ha bisogno delle omissioni e dei sottintesi. Se lo scrittore dice tutto, il lettore non entra nella storia e rimanere fuori significa non avere quella parte di protagonismo che genera coinvolgimento, emozione, empatia. A questo proposito sapete qual è il sogno di Paul Auster?
In quanto scrittore, vorrei cancellarmi e diventare invisibile. Come ho detto in passato, il mio ideale sarebbe scrivere un libro trasparente al punto tale che il lettore dimentica che il mezzo è il linguaggio, vivendo la narrazione come pura esperienza.”
Ecco il suo desiderio più grande, che nasce dall’esperienza di lettore.

Una vita in parole è una vera miniera di spunti di riflessione sul “mestiere di scrivere”. Leggere questo libro significa compiere un viaggio all’interno delle opere di Auster, un’esplorazione che consiglio a chi ha letto i suoi testi ma anche (e forse di più) a chi non lo conosce.

 

Foto: Paul Auster

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