Cowboy e mito western

 

Tempo fa mi sono imbattuto nel saggio di Alberto Paleari dal titolo “Cowboy – La realtà di un mito” (Edizioni dell’Ambrosino – 2016). In quarta di copertina viene scritto:

“Probabilmente nessun grande personaggio della storia è stato alla ribalta per un periodo così breve come il mandriano delle grandi praterie nordamericane. A malapena venticinque anni per il suo periodo “classico”, quello dei pascoli senza recinti e dei lunghi trasferimenti delle mandrie… Eppure, un arco di tempo tanto breve è bastato a renderlo uno dei protagonisti più popolari, dei più sognati, dei più immortali, creando intorno a lui una sorta di archetipo comportamentale e psicologico; ma, nello stesso tempo, anche uno dei più travisati tra gli interpreti dell’epoca moderna.”.

Sono appassionato di cavalli e di monta americana, ma non avevo mai prestato troppa attenzione ai risvolti storici, sociali, politici ed economici di una figura e di un mondo che ha tanta presa sulla mia fantasia. Il libro di Paleari, che consiglierei a chi ama l’argomento, mi ha dato questa rara opportunità.

Perché, da oltre un secolo, letteratura e cinema si occupano di descrivere l’epopea western e i suoi protagonisti?

È una domanda che può essere spunto per considerazioni e ulteriori interrogativi a cui non sempre si possono dare risposte solo oggettive. Quando si entra nella sfera di “cosa ci affascina” ognuno ha una propria visione, non esistono verità assolute. Però si può partire da alcuni fatti.

 

L’alba del genere western

 

I primi racconti scritti che trattavano, in modo più o meno romanzato e veritiero, il mondo della frontiera, dei cowboy, di rapine a banche e treni erano gli articoli dei giornali e i racconti sulle riviste. Tra la fine dell’Ottocento e gli inizi del Novecento era molto di moda e consentiva di raggiungere il grande pubblico.

Il primo romanzo che viene considerato western come genere a sé è “Il Virginiano” di Owen Wister (1902). Anche il nostro Salgari se ne è occupato con i libri “Ciclo delle avventure del Far West” (1908) e “Sulle frontiere del Far West” (1909).

The Great Train Robbery” (1903) è, invece, il primo film uscito: sono trascorsi appena otto anni dalla prima proiezione cinematografica dei fratelli Lumiere (1895) e già una rapina a un treno diventa protagonista sullo schermo.

Da quelle prime produzioni fino ai nostri giorni la lista di opere, letterarie e cinematografiche, che hanno portato in scena l’ovest americano è infinita, e bisognerebbe anche aggiungere quanto questo tipo di storie abbiano influito nel dare impulso ad altre forme d’arte come, ad esempio, il fumetto e la musica.

 

Il contesto storico diventa narrazione (di sé)

Forse, in principio, la diffusione delle storie sul West è stata anche un’operazione geopolitica. Negli Stati Uniti stavano affluendo milioni di immigrati e si voleva spingere sempre più persone a colonizzare territori remoti, distanti dalla costa e dalle grandi città dell’Est. E una rappresentazione tanto epica di quei luoghi poteva spingere i nuovi americani a raggiungere quelle terre.

Ciò che l’America stava vivendo da un punto di vista storico, politico ed economico forniva il materiale per la narrazione western, in modo quasi contestuale.

 

L’epopea dei pionieri

 

La Guerra Civile, terminata da pochi anni, aveva portato desolazione e morte, fame e povertà. Proprio l’esigenza di nutrire sempre più persone ha fatto nascere la figura, prima professionale e poi iconica, del mandriano, colui che doveva occuparsi della gestione dei bovini, una delle principali fonti alimentari dell’epoca. Bestiame che doveva essere spostato in pascoli sempre più distanti e floridi. In particolare, si compivano lunghissime transumanze dal Texas verso Nord, fino ad arrivare al Montana. Un viaggio molto lungo, pericoloso, spesso non portato a termine a causa di condizioni avverse, in cui si rischiava la vita per colpa del territorio, del clima e di tutte quelle persone, divenuti poi personaggi, desiderose di appropriarsi indebitamente delle ricchezze altrui.

Anche se la guerra era terminata, la rivalità fra Nord e Sud era ancora viva. Molti dei famosi banditi e pistoleri che popolano i racconti western sono sudisti che, avendo perso tutto o quasi con la sconfitta, decisero di iniziare a rapinare e depredare treni e banche, attività quasi tutte in mano a persone o società del Nord. Oltre alla necessità di far fronte alle proprie miserie, quegli individui avevano una vera e propria voglia di rivalsa contro chi veniva considerato un vero oppressore. A contrastarli, spesso, erano personaggi, reali o fittizi, originari degli Stati del Nord.

Migliaia di pionieri si spostavano da est verso ovest in cerca di una vita migliore e, se fossero riusciti a concludere il loro durissimo viaggio, avrebbero avuto la possibilità di stabilirsi in nuovi territori, di costruire case e cittadine. I più fortunati, o scaltri, davano vita a imprese commerciali, contribuendo alla “civilizzazione” dell’ovest. Generavano storie, e personaggi, che confluivano nell’iconografia western.

 

I Nativi Americani

 

L’espandersi della colonizzazione portava alla scoperta di risorse nuove e anche questo dava impulso alle storie narrate. Cercatori d’oro, di petrolio, cacciatori e guide erano le persone che andavano a riempire dei vuoti, geografici e narrativi, scontrandosi spesso e volentieri non solo col paesaggio e col clima, ma anche con chi abitava già da secoli in quei luoghi tanto naturalistici e magnifici: gli Indiani. Spesso era il conflitto, altre volte una sorta di mutua collaborazione, a fornire gli strumenti per nuovi racconti. A più riprese, nell’arco della storia americana, i Nativi Americani sono stati la nemesi dell’uomo bianco; il loro spirito indomito doveva essere arginato e represso per dare la possibilità di arrivare dove non si era ancora riusciti a giungere, per appropriarsi di quelle ricchezze naturali. Se da un lato la storia è, nella sua essenza, triste e molto poco edificante, dal punto di vista narrativo ha fornito un grande bacino a cui attingere per dare vita alla narrazione.

Così è stato, e mi sento di poter dire che lo sia ancora.

 

Sinergia tra letteratura e cinema western

 

Credo si possa affermare che letteratura e cinema siano, in questo genere più che in altri, andate a braccetto dagli esordi fino ad oggi. Si sono alimentate reciprocamente dandosi continuo impulso. Molti romanzi degli autori più importanti sono stati trasposti su pellicola, alcuni in più di una versione. E la popolarità e il livello di coinvolgimento del grande pubblico di alcuni di questi film hanno “restituito” importanza e visibilità al genere letterario. Nonostante l’alternanza delle mode, e pur attraversando periodi in cui il western era considerato un filone di serie minore da un punto di vista qualitativo, il mito della frontiera è arrivato comunque a compiere più di un secolo di storia, e sta vivendo un momento di “rispolvero”, di cui gli amanti del genere possono godere.

 

“Spaghetti Style”

 

Va sottolineato che, alla diffusione e allo sviluppo di queste storie americane, hanno contribuito anche altre nazioni. L’Italia è stata sicuramente in prima linea in tal senso. Dai romanzi di Emilio Salgari agli autori di fumetti, di cui Bonelli forse è il più noto coi suoi “Tex Willer” e “Zagor”. E poi il cinema, che ci ha visti addirittura protagonisti della creazione di un sottogenere, lo “Spaghetti Western”, che tanti titoli ha prodotto. Forse si potrebbe affermare che, senza il significativo contributo di due eminenze planetarie come Sergio Leone ed Ennio Morricone, oggi non si parlerebbe più di cinema western nemmeno negli Stati Uniti.

 

Editoria italiana

 

In editoria, ed è storia più recente, abbiamo almeno due importanti case editrici che si prodigano da qualche anno nel riproporre alcuni classici.

 

Einaudi

Einaudi, per esempio, ha pubblicato i romanzi di Cormac McCarthy alla fine degli anni ’90: titoli come “Meridiano di sangue”, “Cavalli selvaggi” e “Oltre il confine” (rispettivamente 1997, 1992 e 1994 in Italia) sono stati rilanciati ancora col volume unico “Trilogia della frontiera” nel 2008. A cui va aggiunto “Città della pianura” nel 1999.

Un altro autore molto quotato è Larry McMurtry. Nel 1985 ha vinto il Premio Pulitzer con il suo “Lonesome Dove”, opera che Einaudi ha riproposto nel 2017 e, l’anno successivo, anche “Le strade di Laredo”, pubblicato una prima volta nel 1995.

 

Mattioli

La casa editrice Mattioli 1885 sta facendo, secondo me, un lavoro egregio anche dal punto di vista estetico, utilizzando formati, tipi di carta e immagini di copertina che rendono accattivanti i libri che ha prodotto negli ultimi anni.

Nel 2006 ha pubblicato un grande classico dello stesso McMurtry, “Hud il selvaggio” del 1961.

A.B. Guthrie è considerato uno dei massimi esponenti del romanzo western. Mattioli è uscita con “Il grande cielo” nel 2014, “Il sentiero del west” (Pulitzer nel 1950) nel 2018, “L’ultimo serpente” nel 2016, “Queste mille colline” nel 2022. Sono tutti romanzi la cui prima uscita è avvenuta fra gli anni ’40 e ’60 e che avevano già avuto pubblicazioni in Italia in quegli stessi anni ma che ora stanno avendo una loro ricollocazione sul mercato.

Un altro autore che Mattioli ha riproposto è Bret Harte, che fra il 1860 e il 1870 scriveva il suo “Storie del west”, titolo che è disponibile grazie a Mattioli appunto dal 2006.

 

Altri editori

Altri esempi di opere a cui l’editoria ha voluto dare nuova vita sono “Butcher’s Crossing(1960) di John Edward Williams, nel 2020 uscito con Fazi Editore; Thomas Savage con il suo “Il potere del cane” (1967) pubblicato una prima volta da Ponte alle Grazie nel 2003 e nel 2017 da Neri Pozza. E la lista si allunga costantemente.

 

Da “Balla coi lupi” ad oggi

 

Nel 1988 Michael Blake pubblicava il romanzo “Balla coi lupi” e, due anni dopo, nelle sale cinematografiche usciva il film di Kevin Costner. Per il genere western quell’opera ha rappresentato una sorta di rinascita dopo qualche anno di torpore.

Hollywood tornava ad occuparsi dell’epopea e del mito della frontiera sfornando prodotti sempre più moderni, producendo film nuovi e rivisitazioni di pellicole degli anni precedenti. Una lunga lista di attori e registi di grido hanno dato nuova linfa a storie e ruoli che erano finiti un po’ ai margini della “settima arte” e, in alcuni casi, va detto anche che alcune pellicole hanno vinto premi prestigiosi.

Nel ’91 l’Oscar come miglior film se l’è aggiudicato proprio “Balla coi lupi”, oltre a vincere altri sei premi e a ottenere cinque candidature; nel ’93 l’inossidabile Clint Eastwood si aggiudicava lo stesso premio, più altre tre statuette e quattro candidature, con “Gli Spietati”. L’unico altro film di questo tipo a ottenere una vittoria è stato, nel lontano 1931, “I pionieri del West”. Facile quindi comprendere la portata delle vittorie menzionate.

Da allora ad oggi la lista di film girati è davvero fitta. “I magnifici sette” (2016), “Django” (2012), “Il grinta” (2010) e “Quel treno per Yuma” (2007) sono rifacimenti delle famose versioni degli anni ‘60. E poi “Terra di confine” (2003), “Revenant” (2015), “The hatefull eight” (2015), “Appaloosa” (2008), “Hostiles” (2017), “Il potere del cane” (2021), solo per menzionarne alcuni degli ultimi anni.

 

Il western e i suoi tratti caratteristici

 

Perché, quindi, perdura e si rigenera l’interesse per questo tipo di storie? Come appassionati, cosa ci spinge a voler rivivere il mito della frontiera e dei personaggi che la popolano?

In fondo si potrebbe dire che le vicende siano tutte molto simili fra loro, a volte un po’ banali, o poco intriganti. Le trame non sempre creano la suspence tipica di altri generi, non fosse per l’esito, spesso scontato, di qualche sparatoria.

Non è un filone che piace a tutti, eppure è ancora molto vivo.

Credo si possa dire che alcuni elementi caratteristici, magari considerati un po’ superficiali, abbiano comunque un certo appeal su una parte di pubblico: il mito del “made in U.S.A.” e quella forma di patriottismo portata spesso al limite; un po’ di “sano machismo” e i conflitti che ne scaturiscono sono solo alcuni esempi. L’eroe è spesso rappresentato da personaggi che hanno una moralità discutibile o un passato caratterizzato dalla violenza da cui cercano di affrancarsi. E questo ci può affascinare, se condito con assalti alle diligenze, ai treni, alle banche, ricerca dell’oro, grandi migrazioni di persone e di bestiame, duelli a colpi di pistole e fucili, cavalcate infinite, risse nei saloon, amori improbabili, guerre fra bande e coi tutori della legge, scontri fra bianchi e indiani.

 

Sopravvivenza, natura selvaggia e codice d’onore

 

Tutto ciò che caratterizza il mito della frontiera parte da una delle necessità primarie dell’uomo: sopravvivere. Spesso uno dei nemici più difficili da sconfiggere è il paesaggio, la natura ostile e selvaggia: attraversarla indenni, piegarla e modellarla per le nostre esigenze esprime un primordiale senso di libertà. Da spettatori siamo combattuti: speriamo che i nostri beniamini “vincano” ma, allo stesso tempo, che la sottomissione della natura non si verifichi, o almeno non sia un processo irreversibile.

Invidiamo e ammiriamo questi uomini e donne audaci che, carichi di coraggio e spirito pionieristico, assecondano il richiamo all’avventura, vanno in cerca di riscatto, si oppongono a chi cerca di ostacolarli. Sentimenti come l’amicizia, l’amore, la compassione, e i rispettivi contrari, muovono costantemente queste storie, sono il motore di tante avventure. La società western, poi, era regolata più da codici d’onore, piuttosto che da una tangibile applicazione della legge, tanto che i personaggi, il più delle volte, circoscrivono nella comunità di appartenenza il limite delle loro azioni e della loro idea di ciò che sia giusto o sbagliato.

Il Western rappresenta una versione del mondo che solo superficialmente può essere considerato antiquato, superato. Penso che, se visto in modo più profondo, smuova il nostro io più profondo, tocchi le nostre corde più antiche e selvagge. Se ciò avviene fra verdi pascoli e immense praterie, montagne incantate e allo stesso tempo minacciose o in riva a fiumi che possono scorrere placidi e tranquilli ma anche impetuosi e pericolosi… ne veniamo in qualche modo attirati, colpiti e ispirati.

 

Foto da gettyimages di John Pitcher

 

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